venerdì 21 febbraio 2014

Cosa c'è nella testa dei pazienti in stato vegetativo?

Lo stato vegetativo, quello che un tempo veniva definito “coma vigile”, rappresenta una delle possibili evoluzioni del coma propriamente detto. Dopo alcune settimane di coma, infatti, pazienti che hanno perso coscienza, comunicazione e riflessi riacquistano alcune funzioni, come quelle vegetative e il ritmo sonno-veglia. Possono aprire e chiudere gli occhi o muoverli in maniera disordinata, respirare senza ventilatore, sbadigliare, deglutire, afferrare un oggetto quando viene posto sul palmo della mano o anche ridere e piangere. Tutto, però, avviene in modo automatico. Questi pazienti non hanno coscienza di sé e dell’ambiente circostante, né sono in grado di evocare risposte riproducibili e volontarie, finalizzate a comunicare qualcosa, comprendere comandi verbali o visivi o allontanare una mano da uno stimolo doloroso. L’evoluzione è, oggi, imprevedibile: parlare di “stato vegetativo permanente”o  "irreversibile” non ha fondamenti scientifici anche se, per convenzione, si ritiene tale quando sono trascorsi 12 mesi (se è stato causato da un trauma cranico) o 3 mesi (per tutte le altre cause: metaboliche, neurodegenerative, vascolari, infettive…).
Esistono, però, condizioni intermedie tra la coscienza normale e lo stato vegetativo. Nel 2002 è stato coniato il termine di “Stato di minima coscienza” (MCS: minimally conscious state) per descrivere questo tipo di pazienti. Questi presentano alcuni comportamenti sicuramente definibili volontari, ma che non sono costanti nel tempo. E’ tipico l’inseguimento con lo sguardo di un oggetto in movimento. Sono possibili anche altre manifestazioni come l’apertura a comando degli occhi, risposte semplici “sì-no”, scrittura, verbalizzazione elementare o con strumenti elettronici facilitanti. Si tratta di pazienti che possono ulteriormente migliorare le proprie condizioni, anche se in maniera variabile. Pertanto è fondamentale poter distinguere questa condizione dallo stato vegetativo, per tutte le difficili decisioni terapeutiche, legali e bioetiche.
Il clinico, quindi, avrà due obiettivi: primo, determinare la capacità di risposta a uno stimolo (generalmente è più facile per il dolore); il secondo, invece, è stabilire la presenza di qualsiasi forma di comunicazione riproducibile, anche rudimentale. Se presenti, questi rilievi ci permettono di distinguere lo stato vegetativo dall’MCS.

Questo può essere molto difficile: si stima che ci sia un tasso di errore di circa il 40% con i mezzi attualmente a nostra disposizione. Si è pensato, quindi, di sfruttare gli immensi passi avanti compiuti in neuroradiologia per  “visualizzare” le immagini mentali, e addirittura valutare le eventuali risposte che i pazienti elaborano a semplici richieste.

LO STUDIO

In uno studio che ha coinvolto Cambridge (Regno Unito) e Liegi (Belgio), 54 pazienti con disordini della coscienza sono stati sottoposti a metodiche innovative, come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), una tecnica in grado di “colorare” le aree che, durante determinati processi mentali, consumano più ossigeno e quindi sono attive.
Sono stati messi a punto due procedimenti: uno motorio (immaginare di essere su un campo di tennis e di agitare il braccio per colpire la pallina) che “attiva” l’area motoria supplementare, evidenziata in giallo/rosso nelle immagini, e uno immaginativo-spaziale (immaginare di camminare tra una stanza e l’altra della propria casa) associato al giro paraippocampale, in blu nelle immagini.
Una volta localizzate le aree, è stato chiesto loro di rispondere a semplici domande, modulando la loro attività cerebrale durante le scansioni in risonanza magnetica. Ad esempio: “Hai fratelli?”, rispondendo di sì, immaginando di giocare a tennis, e di no, immaginando di girare per casa.

RISULTATI
Dei 54 pazienti reclutati nello studio, 5 sono risultati essere capaci di modulare volontariamente la loro attività cerebrale(tutti con patologia traumatica).In 3 di questi, test aggiuntivi hanno rilevato qualche segno di consapevolezza ma, negli altri 2, niente di tutto ciò. Un solo paziente è stato capace di usare questa tecnica per rispondere a domande tipo “si-no” durante la risonanza magnetica funzionale.

CONCLUSIONI
Una piccola percentuale di pazienti in stato vegetativo o in stato di minima coscienza ha un’attivazione cerebrale che riflette qualche tipo di cognizione e consapevolezza. Si spera che in futuro questo approccio possa essere utilizzato per determinati quesiti clinici. Chiedere al paziente se sente dolore, e scegliere quanto o quale analgesico somministrare. Chiedergli cosa pensa, controllare il suo ambiente, comunicare le sue scelte a medici e familiari. In una parola, conoscere la qualità della vita di questi pazienti, entrando in un cervello murato vivo. Uno dei grandi misteri della medicina.
Roberto Infante

References:

Willful Modulation of Brain Activity in Disorders of Consciousness 

Martin M. Monti, Ph.D., Audrey Vanhaudenhuyse, M.Sc., Martin R. Coleman, Ph.D., Melanie Boly, M.D., John D. Pickard, F.R.C.S., F.Med.Sci., Luaba Tshibanda, M.D., Adrian M. Owen, Ph.D., and Steven Laureys, M.D., Ph.D.                                       N Engl J Med 2010; 362:579-589February 18, 2010DOI: 10.1056/NEJMoa0905370






lunedì 13 agosto 2012

Neurobiologia della saggezza (1)

 "Più lontani si va e meno si apprende e ci si avvicina alla verità. Per questo l'uomo saggio non cammina e arriva." Lao Tzu
Ho trovato tempo fa una review particolarmente interessante che mira ad analizzare da un punto di vista neurobiologico l'attributo umano della saggezza. L'ho trovato innanzitutto particolarmente ambizioso, la saggezza è un attributo unico della specie umana e particolarmente riconosciuto dall'uomo stesso fin dagli albori della civiltà, quindi ricco di storia, tuttavia mai è stato sviscerato da un punto di vista prettamente scientifico.

Per secoli la saggezza è stata dispensatrice di religione e filosofia e le prime definizioni della stessa sono rintracciabili in questi due campi: in campo religioso la saggezza è quasi universalmente riconosciuta come virtù, mentre in campo filosofico è definita quale giudiziosa applicazione della conoscenza.
Alla fine arriva la scienza, e questa review in particolare, che prendendo in analisi la saggezza compie un azione non nuova, ma che personalmente ho trovato molto utile. La saggezza è un costrutto e come tale va considerata. Ho detto che è cosa non nuova in quanto già le civiltà antiche la ritenevano un costrutto di diverse sottocomponenti. Certo è che questo complesso di componenti che la forma varia sensibilmente in base al periodo storico che si considera e tra le diverse culture, ognuna pone un'enfasi particolare su una di queste: nella grecia classica la razionalità, nelle culture dell'estremo oriente l'equilibrio emotivo, etc. eppure tutte queste concettualizzazioni della saggezza condividono numerose caratteristiche come la capacità di  ponderato processo decisionale, la compassione, l'altruismo e la capacità di intuizione.
Nel XIX secolo Gall, teorico della frenologia, incluse tre le 27 funzioni mentali la "sagacità comparativa" e la assegnò alla regione prefrontale. Solo pochi decenni fa, discipline di maggior credito scientifico hanno cominciato a considerare la saggezza come elemento degno di discussione. Erikson suppose che l'ultimo stadio della sua teoria dello sviluppo psicosociale, che andrebbe dai 65 anni alla morte, centrato sulla risoluzione con esito favorevole del conflitto tra l'integrità dell'io e la disperazione fosse la saggezza. Negli anni '70 Baltes et Al., Clayton e altri ancora hanno cominciato una ricerca di tipo empirico in questo settore e nonostante le prime teorie della cultura occidentale ponessero l'accento sulle facoltà cognitive, Ardelt et Al. posero l'attenzione sull'importanza del autocontrollo emotivo. In pratica l'evoluzione della moderna concettualizzazione della saggezza ha portato a condividere notevoli somiglianze con alcuni dei più antichi concetti di saggezza postulati nel Bhagavad Gita, un antico testo indiano di contenuto religioso.
Recentemente la sorti della comprensione dell'attributo umano della saggezza sono legate alle attenzioni della psichiatria che, come le altre discipline mediche, ha cominciato a porre l'attenzione non esclusivamente sulla patologia, ma sullo stato di salute, la prevenzione e quindi i fattori protettivi nei confronti della patologia stessa. Comprendere la neurobiologia della saggezza può avere un notevole impatto clinico, come lo sviluppo della prevenzione, del trattamento e della riabilitazione per persone con importanti disturbi neuropsichiatrici (es. demenza frontotemporale). Tuttavia i ricercatori si sono tenuti alla larga dall'indagare sulla saggezza soprattutto a causa della difficoltà nel definirne il fenotipo. Si può considerare certamente la saggezza come un attributo distribuito nella popolazione generale lungo un continuum più che come un attributo raro limitato a persone-simbolo, però, sebbene sia piuttosto piuttosto stabile come tratto all'interno di uno stesso individuo, si esprime negli altri con sfumature diverse e inoltre è anche frutto, in misura significativa, dell'esperienza e dell'apprendimento.
Dunque anche se non esiste una definizione consensuale di saggezza si può asserire che essa sia un unico costrutto psicologico e non solo l'insieme di caratteristiche desiderabili riunite sotto un'unica etichetta unificante. Le componenti della saggezza sono:
  • atteggiamenti/comportamento prosociale
  • conoscenza pragmatica della vita
  • omeostasi emotiva
  • riflessione/comprensione del sé
  • valore del relativismo/tolleranza
  • riconoscimento e trattamento efficace dell'incertezza
I substrati neurobiologi di queste componenti sembrano includere diverse regioni in comune come la corteccia prefrontale (PFC), in particolare la PFC dorsolaterale (DLPFC), la corteccia orbitofrontale (OFC), la PFC mediale (mPFC) e il cingolo anteriore, più alcune aree sottocorticali come l'amigdala e lo striato e sono fortemente influenzati da pathways monoaminergici.
Si può quindi procedere ad esaminare la neurobiologia di queste 6 componenti concentrandosi sulla loro presunta localizzazione neuroanatomica, determinata in primo luogo da neuroimaging funzionale e in secondo luogo sulla funzione dei neurotrasmettitori ivi prodotti.

ATTITUDINE E COMPORTAMENTO PROSOCIALE
"Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un'esistenza felice, la più grande è l'amicizia."  Epicuro
Una delle più consistenti componenti della saggezza, sia nella letteratura antica che in quella moderna, è la promozione del bene comune a prescindere dai propri interessi, mostrando comportamenti e attitudini prosociali quali empatia, cooperazione e altruismo. Così i sociopatici che possono presentare una squisita cognizione sociale e un controllo emotivo al fine di facilitare le loro motivazione egoistiche, non possono essere considerati saggi.
EMPATIA. L'empatia facilita i comportamenti prosociali, incluso l'altruismo. I neuroni specchio, originariamente scoperti nei primati e successivamente riscontrati nel giro frontale inferiore dell'uomo con tecniche neurofisiologiche e di neuroimaging, potrebbero essere il substrato neurobiologico primitivo dell'empatia. Nella corteccia prefrontale i neuroni specchio si attivano con lo stesso pattern sia in individui che compiono una determinata azione che in individui che guardano semplicemente qualcun altro compiere la medesima azione, cosa che suggerisce il loro ruolo nell'apprezzare la comunicazione non verbale. Persone con una maggiore mimica somatica incoscia hanno una maggiore disposizione all'altruismo. Quando i bambini osservano e imitano le espressioni facciali, i neuroni specchio si attivano e questa attività appare correlata con il livello di empatia. Naturalmente l'empatia è più complessa della semplice mimica somatica, richiede di prendere consapevolmente la prospettiva di un'altra persona e ciò si ricollega alla "teoria della mente" sviluppata da Perner e Lang e consiste in un modello che spiega come una persona capisce stati mentali altrui e le emozioni. Le ricerche di neuroimaging nell'ambito della "teoria della mente" hanno costantemente mostrato l'attivazione della corteccia prefrontale mediale e del solco temporale posterosuperiore. La corteccia prefrontale mediale sembra coinvolta nel "mentalizing" ovvero concepire il mondo interiore degli altri mentre l'attivazione del  solco temporale posterosuperiore si verifica in risposta a stimoli visivi rilevanti per la percezione degli stati mentali (es. mimica somatica, espressioni facciali). Studi con risonanza magnatica funzionale mostrano il coinvolgimento della corteccia prefrontale mediale nella percezione di stati emotivi condivisi. Lesioni alla corteccia prefrontale ventromediale sono predittive per deficit empatici. Fondamentale per l'empatia è la capacità di distinguere il sé dagli altri al fine di evitare un mero contagio emotivo, ancora la risonanza magnetica funzionale ha indicato che il giro temporale superiore e il lobo parietale inferiore potrebbero essere responsabili della differenzazione delle proprie emozioni da quelle altrui.
COOPERAZIONE. Al contrario della concorrenza, la cooperazione è legata al comportamento prosociale ed è stata studiata con tecniche di neuroimaging usando un insieme di attività (es.giochi di fiducia/reciprocità incluso "il dilemma del prigioniero). Studi di risonanza magnetica funzionale dimostrano che la cooperazione attiva la corteccia prefrontale mediale e il nucleo accumbens/striato ventrale, coinvolte queste ultime anche nel circuito centrale della ricompensa. Allo stesso modo la "punizione altruistica" (punizione dei trasgressori delle norme sociali al costo di se stessi) attiva la microcircuiteria della ricompensa. Al contrario la competizione diminuisce l'attivazione delle aree attivate dalla cooperazione o attiva altre regioni come la corteccia prefrontale dorsolaterale. In uno studio con risonanza magnetica nucleare alcuni individui sociopatici hanno mostrato (rispetto a soggetti di controllo) una ridotta risposta dell'amigdala mentre si mostravano non cooperativi durante un compito di cooperazione sociale e una ridotta attività della corteccia orbitofrontale quando cooperavano, suggerendo una mancanza di emozioni spiacevoli mentre infrangevano norme sociali e una mancanza di emozioni positive mentre invece adottavano comportamenti cooperativi.
ALTRUISMO. L'altruismo si sovrappone alla cooperazione anche se è da notare come in quest'ultimo sia presente un danno potenziale a cui il soggetto altruista si espone per aiutare l'altro. Harbaugh et Al. hanno dimostrato come l'idea di donare volontariamente del denaro comparata a quella di pagare le tasse (percepita come necessaria per il bene sociale) causi un'aumentata attivazione della microcircuiteria della ricompensa (caudato e nucleo accumbens).Questo paradossalmente suggerisce che il substrato neurale dell'altruismo può essere equiparato a quello del più istintuale auto-piacere.


Diversi studi genetici hanno riportato che l'ereditarietà dei comportamenti prosociali, compreso l'altruismo va dal 50% al 60%. Inoltre, diversi studi indicano il coinvolgimento delle monoammine e di alcuni neuropeptidi con i risultati più importanti per i ruoli di dopamina, serotonina e i neuropeptidi ipotalamici vasopressina e ossitocina negli atteggiamenti/comportamenti prosociali.

G.C.

mercoledì 6 giugno 2012

RIP Andrew Huxley (1917-2012)

Ricordiamo con questo post Sir Andrew Huxley, fisiologo inglese vincitore del Nobel per la Medicina nel 1963 per le sue ricerche sulle basi della conduzione del potenziale d'azione, venuto a mancare nella giornata di ieri.
Possa il mondo averlo in gloria.

giovedì 29 marzo 2012

buon compleanno neuronerd!


il blog neuronerd compie un anno.

Si festeggia nel migliore dei modi: tra pochi giorni partirà la nostra sperimentazione con il professore Viggiano, docente di fisiologia della Seconda Università degli Studi di Napoli. Stay tuned

grazie a tutti voi

venerdì 2 marzo 2012

Apologia dell'errore

Un uomo di genio non commette errori. I suoi sbagli sono intenzionali e sono portali di scoperta(J.Joyce)
La biologia è il regno degli errori (e degli orrori). Darwin ha fatto risalire le “prodezze” umane a innumerevoli sbagli di un organismo microscopico, incapace di replicarsi con fedeltà. Dal batterio a bipedi forniti di grosso sedere, abili mani, cranio crivellato e rapidi a ciarlare. Non dobbiamo necessariamente scomodare l’evoluzionismo, né i filosofi, per celebrare l’errore: la DNA polimerasi, l’enzima che duplica il genoma per destinarlo alla cellula figlia, commette un errore ogni 109 nucleotidi (e non è l’unica a sbagliare). Sembrerà poco, ma non lo è considerando l’innumerevole quantità di specie viventi e l’enorme tempo a disposizione concesso dalla Terra: siamo predestinati a inciampare lungo il cammino.
Il tanto osannato sistema nervoso nasce con i riflessi: risposte rapide, involontarie, a stimoli ambientali. Famosa l’illustrazione contenuta nel “De Homine” cartesiano, nella quale un bambino ritira il piede perché si scotta: a nulla valgono i consigli materni, senza sbagliare non potrebbe capirlo. Ancora oggi non possiamo minimamente fare a meno del dolore, nemmeno dopo l’infanzia. La scuola di guerra tedesca ci ha donato forse il più famoso aforisma: “ciò che non mi uccide mi rende più forte”. Il dolore metabolizza gli errori restituendo crescita e robustezza e nemmeno il più illuminato dei cervelli potrebbe mai farne a meno. I genetisti ci assillano con “le mutazioni sono il motore dell’evoluzione”: così l’alterazione genica che fa impazzire la cellula, il tumore, è assai vantaggioso per gli organismi unicellulari, mentre diventa letale per quelli grandi e grossi. Un errore ci uccide, un altro ci regala le mani di Paganini. Troppi errori cominciarono a diventare insostenibili quando si volle camminare: è solo per questa ragione che la selezione naturale risparmiò la comparsa del cervello vero e proprio. In primis cervelletto e gangli della base, veri e propri dittatori degli arti, in grado di porre il veto a più del 90% dei suggerimenti inviati dalla periferia. In secundis la corteccia cerebrale, supremo tiranno di idee, emozioni e istinti. Come discriminino giusto e sbagliato resta un mistero: secondo le teorie odierne solo quando, dopo tanti sbagli, il risultato corrisponde all’obiettivo. “Sbagliando si impara”. Le stesse sinapsi crescono a caso, e quelle non stimolate vengono recise.
Il primo dei sensi a comparire nella filogenesi è stato l’olfatto, poi gli altri. I motivi, sempre gli stessi: un’esperienza negativa con un alimento, un odore, un suono o un colore basterà per evitare il contatto futuro con quella sostanza. Medesimo discorso per la comparsa del centro del vomito, l’area postrema troncoencefalica: sopperire alla poco consona ingordigia dei nostri antenati. Per nulla infallibili, anzi preda di condizioni e suggestioni. L’occhio e l’orecchio di Alex deLarge ripudiano i film di violenza mostrati mentre i medici gli iniettano una sostanza emetica (che provoca il vomito): l’errore viene qui asservito dalla società per abolire istinti moralmente sconvenienti. In un recente studio di Kim BR è stato dimostrato, con semplici compiti valutativi, che la devianza da norme sociali viene trattata dal cervello come un proprio errore di valutazione. Una suggestiva guerra civile tra neuroni: liberali e neuroni specchio. Questi ultimi, scoperti da Giacomo Rizzolatti vicino all’area di Broca, un centro del linguaggio, ci invitano a scimmiottare chi è davanti a noi, e gradualmente a conformarci agli altri individui della nostra specie.
Tutto ciò è ben orchestrato: in un recente esperimento di Hester viene analizzata l’attività della corteccia frontale posteromediale (pMFC) prima e dopo la realizzazione di un errore; dopo l’errore i comportamenti vengono significativamente rallentati e meglio ponderati. Ma ancora una volta la società continua a baloccarsi con le nostre menti, infiltrata nel Super-Io (di cui probabilmente i neuroni specchio sono un aspetto fondamentale). Un rallentamento post-errore è stato osservato anche in un lavoro di De Bruijn, persino dopo errori altrui, in una situazione cooperativa; al contrario, in un contesto competitivo, vi è una tendenza ad accelerare i compiti. Questo indica che il sistema neuronale in grado di processare gli errori ha un’alta flessibilità, determinata dal contesto. Infatti in un altro articolo dello stesso autore gli errori in un contesto competitivo sono stati considerati dai soggetti come perdita di gratificazione sia se commessi da loro sia dagli altri partecipanti. Tanti gli studi a riguardo dei centri di controllo degli errori, ad esempio, Longe mostra come l’attività della parte dorsolaterale della corteccia prefrontale sia correlata ad alti livelli di autocritica, associata a un grande processamento degli errori e inibizione di comportamenti, maggiore in alcuni individui. La porzionale ventrolaterale della stessa corteccia prefrontale è invece associata a incoraggiamento individuale. Tutti questi studi aiutano la ricerca sulle malattie mentali come il disturbo bipolare e la depressione, ma non solo.
E’ proprio l’auto-incoraggiamento, la self-confidence, la grande forza che spinge avanti, cioè verso nuovi errori, la produzione umana. Non possiamo innalzarci restando a guardare i volti altrui: “I pedagoghi e gli educatori della prima infanzia riconoscono nell’errore del bambino che sta imparando a parlare un indizio del suo lavoro linguistico, che non è solo di semplice mimesi, ma anche, e soprattutto, di costruzione creativa e personale. Il bambino, in altre parole, non si limita ad imitare le frasi sentite da altri, ma utilizza il materiale linguistico di cui dispone per creare nuove frasi e nuove strutture sintattiche mai sentite prima. Questo lo vediamo quando il bambino dice “io ando” invece di “io vado”: capiamo soltanto così che egli ha utilizzato il verbo “andare” – che ha sentito da qualcuno – per formare la terza persona singolare per assimilazione.” Magari tutta l’arte fiorisce in questo modo. Non si può certo creare a mente vuota: spesso le grandi opere nascono da errori da parte di un riproduttore, come una canzone nasce da variazioni di un brano noto, inebriata da mille influenze. Homo sapiens e i suoi prodotti (alti e bassi) sono semplicemente figli della serendipità: non potremo mai toccare il cielo, ma non abbiamo alcun limite nell’esplorare la Terra con le nostre braccia e le nostre menti
Il progresso non è altro che brancolare da un errore all'altro. (Henrik Ibsen)
Roberto Infante
Approfondimento filosofico: http://www.libreriauniversitaria.it/apologia-inciampo-dona-massimo-bompiani/libro/9788845270659
References:
Kim BR, PMID:22038705
Longe O PMID:19770047
Hester R PMID:18189005
De Bruijn ER PMID:21347989
de Bruijn ER PMID:22347154

sabato 4 febbraio 2012

Spinoza ha anticipato Gazzaniga di 300 anni.


Spinoza ha anticipato Gazzaniga di 300 anni eppure pare che Homo Sapiens non si sbatta né il primo né il secondo.  “Gli uomini si credono liberi soltanto perché sono consapevoli delle proprie azioni e inconsapevoli delle cause che le determinano” un periodo assertivo, quasi da Bacio perugina, quale occorre. Tratto da “L’ethica”, monumentale opera scritta dall’ottico olandese, esempio di libero pensiero che ha addirittura lasciato dire a Hegel “Philosophieren ist Spinozieren”, rivela la subordinazione intrinseca della coscienza nella fisiologia del sistema nervoso.  Lasceremo spiegare il tutto a Gazzaniga e al suo straordinario lavoro “Un cervello, due menti” (1972). Gli esperimenti che alimentano quest’articolo scientifico sono stati condotti su pazienti “scissi”, pazienti cioè la cui epilessia aveva acquisito una dimensione tanto grave da dover ricorrere a un intervento chirurgico consistente nel tagliare le connessioni nervose tra i due emisferi cerebrali, il corpo calloso. Gazzaniga dimostrò che i due emisferi in questi soggetti non comunicano più e siccome l’area del linguaggio risiede solitamente nell’emisfero di sinistra, il paziente saprà esprimere solo ciò di cui quest’emisfero è a conoscenza. Se si benda il paziente e gli si chiede di toccare un oggetto con la mano sinistra, egli non saprà descrivere tale informazione tattile poiché le fibre nervose sensitive afferenti al sistema nervoso centrale dalla metà sinistra del corpo decussano la linea mediana e giungono all’emisfero destro isolato dal sinistro e quindi dall’area del linguaggio. Quest’esperimento molto semplice è servito da guida per altri, uno dei quali di importanza fondamentale. Se si induce segretamente l’emisfero destro ad avere una reazione, l’emisfero sinistro sarà capace di percepirla, ma rimarrà all’oscuro della sua motivazione. In che modo dunque la coscienza tratta il materiale inconscio? Ebbene, se si chiede a questi pazienti il perché della loro reazione, essi verbalizzano ciò che l’emisfero sinistro riesce a dedurre dalla situazione, inventando delle spiegazioni come se sapessero realmente cosa sia accaduto. LeDoux, un neurobiologo che ha collaborato con Gazzaniga in questi esperimenti, riporta nel suo libro “Il cervello emotivo” il comportamento dei pazienti: “se ordinavamo all’emisfero destro di salutare con la mano, il paziente salutava. Quando gli chiedevamo il perché, diceva che aveva creduto di vedere un conoscente. Se ordinavamo all’emisfero destro di ridere, il paziente ci diceva che eravamo buffi”. Le spiegazioni dei pazienti scissi non sono prodotte dalla conoscenza del perché delle azioni, ma solo in base alla percezione delle azioni stesse. Da tali esperimenti fu quindi dedotto che “molte delle nostre azioni hanno motivi di cui non siamo consapevoli (perché il comportamento è prodotto da sistemi cerebrali che operano inconsciamente) e che uno dei principali compiti della coscienza è quello di ricucire la nostra vita in una storia coerente, in un concetto del sé. Lo fa generando delle spiegazioni del comportamento sulla base dell’immagine di sé, dei ricordi del passato, delle aspettative del futuro, della situazione sociale presente e dell’ambiente fisico in cui quel comportamento è prodotto” (LeDoux, Il cervello emotivo).
Anche se irrelata dagli esperimenti di Gazzaniga, quanto detto da Spinoza appare ora più chiaro. L’importanza del periodo Spinoziano rimane tuttavia sottostimata. Homo Sapiens continua a ignorare che la sua coscienza è in realtà un accessorio comparso nella filogenesi.
Tutto il comportamento umano è determinato per riflesso, dunque è scatenato da processi inconsci. La cosa è anche più intuitiva di quanto si possa credere. Il riflesso è, per quanto semplice, una conquista complessa nella filogenesi e oltre che complessa è estremamente efficace: dunque perché non sfruttarla? Nello sviluppo successivo del sistema nervoso, gli errori accumulatisi hanno portato a un intreccio sempre più intricato di questi circuiti fino ad arrivare a reti neurali capaci di elaborare quanto l’autore sta scrivendo in questo momento.
Il linguaggio, strumento di elezione della coscienza, è anch’esso prodotto di processi inconsci. Non si pianifica consciamente la grammatica su cui un discorso s’intesse, non vi è abbastanza tempo e la coscienza è tra tutti i processi neurali “l’ultimo a sapere delle cose”. Un esempio pratico di quanto si sta dicendo è la situazione di un individuo che provi a parlare una lingua straniera, quando insomma è un competente consapevole: l’elaborazione di un periodo di senso compiuto sarà il risultato di un pensiero cosciente che richiederà concentrazione per la ricerca di ciò che si è appreso in precedenza. Lo stesso ovviamente non avviene se si elabora un periodo nella propria lingua madre in cui si ha raggiunto un livello di competenza inconsapevole. Detto questo sembra che Skinner avesse ragione quando disse che la Stein esprimeva nella sua prosa le automatiche risposte verbali che abbiamo davanti a specifici stimoli, la sua arte dunque non era che un riflesso involontario. Gertrude Stein obbiettò la frase di Skinner affermando di arrivare a frasi come “una rosa tagliata rosa, un crollo ed un buco venduto, un po’ meno caldo” grazie a un eccesso di coscienza, l’extra-coscienza. Eppure se Dostoevskij afferma che “è proprio […] nella perfetta consapevolezza di ogni cosa che sta l’ebbrezza”, Gertrude Stein ha dovuto infine ritenersi sconfitta. Vittoriosa ne uscì la linguistica di Chomsky. Il concetto è semplice: la struttura del linguaggio fa parte della struttura del cervello. Le parole vengono disposte su binari che il nostro cervello traccia inconsciamente.
A derubare la coscienza della sua importanza sono intervenuti anche Nisbett e Wilson che con esperimenti molto banali ne hanno mostrato la fragilità. Mostrando ad alcune donne delle paia di calze, hanno chiesto di scegliere un paio e di motivare la loro scelta. Le donne hanno eseguito motivando riguardo colore, elasticità, trasparenza senza sapere che le calze erano tutte uguali. Credevano insomma di aver deciso sulla base di giudizi interiori di qualità, sbagliando sulle cause interne delle loro azioni.
I meccanismi interni di importanti aspetti mentali, inclusa la comprensione del perché facciamo quel che facciamo non sono necessariamente conoscibili dall’io cosciente. In conclusione, ricordando Gertrude Stein in “How to write”: “Come può essere la coscienza? Ciò nonostante”.
                                                                                                     Giammarco Cascino

giovedì 22 dicembre 2011