lunedì 13 agosto 2012

Neurobiologia della saggezza (1)

 "Più lontani si va e meno si apprende e ci si avvicina alla verità. Per questo l'uomo saggio non cammina e arriva." Lao Tzu
Ho trovato tempo fa una review particolarmente interessante che mira ad analizzare da un punto di vista neurobiologico l'attributo umano della saggezza. L'ho trovato innanzitutto particolarmente ambizioso, la saggezza è un attributo unico della specie umana e particolarmente riconosciuto dall'uomo stesso fin dagli albori della civiltà, quindi ricco di storia, tuttavia mai è stato sviscerato da un punto di vista prettamente scientifico.

Per secoli la saggezza è stata dispensatrice di religione e filosofia e le prime definizioni della stessa sono rintracciabili in questi due campi: in campo religioso la saggezza è quasi universalmente riconosciuta come virtù, mentre in campo filosofico è definita quale giudiziosa applicazione della conoscenza.
Alla fine arriva la scienza, e questa review in particolare, che prendendo in analisi la saggezza compie un azione non nuova, ma che personalmente ho trovato molto utile. La saggezza è un costrutto e come tale va considerata. Ho detto che è cosa non nuova in quanto già le civiltà antiche la ritenevano un costrutto di diverse sottocomponenti. Certo è che questo complesso di componenti che la forma varia sensibilmente in base al periodo storico che si considera e tra le diverse culture, ognuna pone un'enfasi particolare su una di queste: nella grecia classica la razionalità, nelle culture dell'estremo oriente l'equilibrio emotivo, etc. eppure tutte queste concettualizzazioni della saggezza condividono numerose caratteristiche come la capacità di  ponderato processo decisionale, la compassione, l'altruismo e la capacità di intuizione.
Nel XIX secolo Gall, teorico della frenologia, incluse tre le 27 funzioni mentali la "sagacità comparativa" e la assegnò alla regione prefrontale. Solo pochi decenni fa, discipline di maggior credito scientifico hanno cominciato a considerare la saggezza come elemento degno di discussione. Erikson suppose che l'ultimo stadio della sua teoria dello sviluppo psicosociale, che andrebbe dai 65 anni alla morte, centrato sulla risoluzione con esito favorevole del conflitto tra l'integrità dell'io e la disperazione fosse la saggezza. Negli anni '70 Baltes et Al., Clayton e altri ancora hanno cominciato una ricerca di tipo empirico in questo settore e nonostante le prime teorie della cultura occidentale ponessero l'accento sulle facoltà cognitive, Ardelt et Al. posero l'attenzione sull'importanza del autocontrollo emotivo. In pratica l'evoluzione della moderna concettualizzazione della saggezza ha portato a condividere notevoli somiglianze con alcuni dei più antichi concetti di saggezza postulati nel Bhagavad Gita, un antico testo indiano di contenuto religioso.
Recentemente la sorti della comprensione dell'attributo umano della saggezza sono legate alle attenzioni della psichiatria che, come le altre discipline mediche, ha cominciato a porre l'attenzione non esclusivamente sulla patologia, ma sullo stato di salute, la prevenzione e quindi i fattori protettivi nei confronti della patologia stessa. Comprendere la neurobiologia della saggezza può avere un notevole impatto clinico, come lo sviluppo della prevenzione, del trattamento e della riabilitazione per persone con importanti disturbi neuropsichiatrici (es. demenza frontotemporale). Tuttavia i ricercatori si sono tenuti alla larga dall'indagare sulla saggezza soprattutto a causa della difficoltà nel definirne il fenotipo. Si può considerare certamente la saggezza come un attributo distribuito nella popolazione generale lungo un continuum più che come un attributo raro limitato a persone-simbolo, però, sebbene sia piuttosto piuttosto stabile come tratto all'interno di uno stesso individuo, si esprime negli altri con sfumature diverse e inoltre è anche frutto, in misura significativa, dell'esperienza e dell'apprendimento.
Dunque anche se non esiste una definizione consensuale di saggezza si può asserire che essa sia un unico costrutto psicologico e non solo l'insieme di caratteristiche desiderabili riunite sotto un'unica etichetta unificante. Le componenti della saggezza sono:
  • atteggiamenti/comportamento prosociale
  • conoscenza pragmatica della vita
  • omeostasi emotiva
  • riflessione/comprensione del sé
  • valore del relativismo/tolleranza
  • riconoscimento e trattamento efficace dell'incertezza
I substrati neurobiologi di queste componenti sembrano includere diverse regioni in comune come la corteccia prefrontale (PFC), in particolare la PFC dorsolaterale (DLPFC), la corteccia orbitofrontale (OFC), la PFC mediale (mPFC) e il cingolo anteriore, più alcune aree sottocorticali come l'amigdala e lo striato e sono fortemente influenzati da pathways monoaminergici.
Si può quindi procedere ad esaminare la neurobiologia di queste 6 componenti concentrandosi sulla loro presunta localizzazione neuroanatomica, determinata in primo luogo da neuroimaging funzionale e in secondo luogo sulla funzione dei neurotrasmettitori ivi prodotti.

ATTITUDINE E COMPORTAMENTO PROSOCIALE
"Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un'esistenza felice, la più grande è l'amicizia."  Epicuro
Una delle più consistenti componenti della saggezza, sia nella letteratura antica che in quella moderna, è la promozione del bene comune a prescindere dai propri interessi, mostrando comportamenti e attitudini prosociali quali empatia, cooperazione e altruismo. Così i sociopatici che possono presentare una squisita cognizione sociale e un controllo emotivo al fine di facilitare le loro motivazione egoistiche, non possono essere considerati saggi.
EMPATIA. L'empatia facilita i comportamenti prosociali, incluso l'altruismo. I neuroni specchio, originariamente scoperti nei primati e successivamente riscontrati nel giro frontale inferiore dell'uomo con tecniche neurofisiologiche e di neuroimaging, potrebbero essere il substrato neurobiologico primitivo dell'empatia. Nella corteccia prefrontale i neuroni specchio si attivano con lo stesso pattern sia in individui che compiono una determinata azione che in individui che guardano semplicemente qualcun altro compiere la medesima azione, cosa che suggerisce il loro ruolo nell'apprezzare la comunicazione non verbale. Persone con una maggiore mimica somatica incoscia hanno una maggiore disposizione all'altruismo. Quando i bambini osservano e imitano le espressioni facciali, i neuroni specchio si attivano e questa attività appare correlata con il livello di empatia. Naturalmente l'empatia è più complessa della semplice mimica somatica, richiede di prendere consapevolmente la prospettiva di un'altra persona e ciò si ricollega alla "teoria della mente" sviluppata da Perner e Lang e consiste in un modello che spiega come una persona capisce stati mentali altrui e le emozioni. Le ricerche di neuroimaging nell'ambito della "teoria della mente" hanno costantemente mostrato l'attivazione della corteccia prefrontale mediale e del solco temporale posterosuperiore. La corteccia prefrontale mediale sembra coinvolta nel "mentalizing" ovvero concepire il mondo interiore degli altri mentre l'attivazione del  solco temporale posterosuperiore si verifica in risposta a stimoli visivi rilevanti per la percezione degli stati mentali (es. mimica somatica, espressioni facciali). Studi con risonanza magnatica funzionale mostrano il coinvolgimento della corteccia prefrontale mediale nella percezione di stati emotivi condivisi. Lesioni alla corteccia prefrontale ventromediale sono predittive per deficit empatici. Fondamentale per l'empatia è la capacità di distinguere il sé dagli altri al fine di evitare un mero contagio emotivo, ancora la risonanza magnetica funzionale ha indicato che il giro temporale superiore e il lobo parietale inferiore potrebbero essere responsabili della differenzazione delle proprie emozioni da quelle altrui.
COOPERAZIONE. Al contrario della concorrenza, la cooperazione è legata al comportamento prosociale ed è stata studiata con tecniche di neuroimaging usando un insieme di attività (es.giochi di fiducia/reciprocità incluso "il dilemma del prigioniero). Studi di risonanza magnetica funzionale dimostrano che la cooperazione attiva la corteccia prefrontale mediale e il nucleo accumbens/striato ventrale, coinvolte queste ultime anche nel circuito centrale della ricompensa. Allo stesso modo la "punizione altruistica" (punizione dei trasgressori delle norme sociali al costo di se stessi) attiva la microcircuiteria della ricompensa. Al contrario la competizione diminuisce l'attivazione delle aree attivate dalla cooperazione o attiva altre regioni come la corteccia prefrontale dorsolaterale. In uno studio con risonanza magnetica nucleare alcuni individui sociopatici hanno mostrato (rispetto a soggetti di controllo) una ridotta risposta dell'amigdala mentre si mostravano non cooperativi durante un compito di cooperazione sociale e una ridotta attività della corteccia orbitofrontale quando cooperavano, suggerendo una mancanza di emozioni spiacevoli mentre infrangevano norme sociali e una mancanza di emozioni positive mentre invece adottavano comportamenti cooperativi.
ALTRUISMO. L'altruismo si sovrappone alla cooperazione anche se è da notare come in quest'ultimo sia presente un danno potenziale a cui il soggetto altruista si espone per aiutare l'altro. Harbaugh et Al. hanno dimostrato come l'idea di donare volontariamente del denaro comparata a quella di pagare le tasse (percepita come necessaria per il bene sociale) causi un'aumentata attivazione della microcircuiteria della ricompensa (caudato e nucleo accumbens).Questo paradossalmente suggerisce che il substrato neurale dell'altruismo può essere equiparato a quello del più istintuale auto-piacere.


Diversi studi genetici hanno riportato che l'ereditarietà dei comportamenti prosociali, compreso l'altruismo va dal 50% al 60%. Inoltre, diversi studi indicano il coinvolgimento delle monoammine e di alcuni neuropeptidi con i risultati più importanti per i ruoli di dopamina, serotonina e i neuropeptidi ipotalamici vasopressina e ossitocina negli atteggiamenti/comportamenti prosociali.

G.C.