Lo stato vegetativo, quello che un tempo veniva definito “coma
vigile”, rappresenta una delle possibili evoluzioni del coma propriamente
detto. Dopo alcune settimane di coma, infatti, pazienti che hanno perso coscienza,
comunicazione e riflessi riacquistano alcune funzioni, come quelle vegetative e il ritmo sonno-veglia. Possono aprire e chiudere gli occhi o muoverli in maniera
disordinata, respirare senza ventilatore, sbadigliare, deglutire, afferrare un
oggetto quando viene posto sul palmo della mano o anche ridere e piangere. Tutto,
però, avviene in modo automatico. Questi pazienti non hanno coscienza di sé e
dell’ambiente circostante, né sono in grado di evocare risposte riproducibili e
volontarie, finalizzate a comunicare qualcosa, comprendere comandi verbali o
visivi o allontanare una mano da uno stimolo doloroso. L’evoluzione è, oggi,
imprevedibile: parlare di “stato vegetativo permanente”o "irreversibile” non ha fondamenti scientifici
anche se, per convenzione, si ritiene tale quando sono trascorsi 12 mesi (se è
stato causato da un trauma cranico) o 3 mesi (per tutte le altre cause:
metaboliche, neurodegenerative, vascolari, infettive…).
Esistono, però, condizioni intermedie tra la coscienza normale e lo stato vegetativo. Nel 2002 è stato coniato il termine di “Stato di minima coscienza” (MCS: minimally conscious state) per descrivere questo tipo di pazienti. Questi presentano alcuni comportamenti sicuramente definibili volontari, ma che non sono costanti nel tempo. E’ tipico l’inseguimento con lo sguardo di un oggetto in movimento. Sono possibili anche altre manifestazioni come l’apertura a comando degli occhi, risposte semplici “sì-no”, scrittura, verbalizzazione elementare o con strumenti elettronici facilitanti. Si tratta di pazienti che possono ulteriormente migliorare le proprie condizioni, anche se in maniera variabile. Pertanto è fondamentale poter distinguere questa condizione dallo stato vegetativo, per tutte le difficili decisioni terapeutiche, legali e bioetiche.
Esistono, però, condizioni intermedie tra la coscienza normale e lo stato vegetativo. Nel 2002 è stato coniato il termine di “Stato di minima coscienza” (MCS: minimally conscious state) per descrivere questo tipo di pazienti. Questi presentano alcuni comportamenti sicuramente definibili volontari, ma che non sono costanti nel tempo. E’ tipico l’inseguimento con lo sguardo di un oggetto in movimento. Sono possibili anche altre manifestazioni come l’apertura a comando degli occhi, risposte semplici “sì-no”, scrittura, verbalizzazione elementare o con strumenti elettronici facilitanti. Si tratta di pazienti che possono ulteriormente migliorare le proprie condizioni, anche se in maniera variabile. Pertanto è fondamentale poter distinguere questa condizione dallo stato vegetativo, per tutte le difficili decisioni terapeutiche, legali e bioetiche.
Il clinico, quindi, avrà due obiettivi: primo, determinare la
capacità di risposta a uno stimolo (generalmente è più facile per il dolore); il
secondo, invece, è stabilire la presenza di qualsiasi forma di comunicazione
riproducibile, anche rudimentale. Se presenti, questi rilievi ci permettono di
distinguere lo stato vegetativo dall’MCS.
Questo può essere molto difficile: si stima che ci sia un tasso di errore di circa il 40% con i mezzi attualmente a
nostra disposizione. Si è pensato, quindi, di sfruttare gli immensi passi
avanti compiuti in neuroradiologia per “visualizzare”
le immagini mentali, e addirittura valutare le eventuali risposte che i
pazienti elaborano a semplici richieste.
LO STUDIO
In uno studio che ha coinvolto Cambridge
(Regno Unito) e Liegi (Belgio), 54 pazienti con disordini della coscienza sono stati
sottoposti a metodiche innovative, come la risonanza magnetica funzionale
(fMRI), una tecnica in grado di “colorare” le aree che, durante determinati
processi mentali, consumano più ossigeno e quindi sono attive.
Sono stati messi a punto due procedimenti: uno motorio (immaginare
di essere su un campo di tennis e di agitare il braccio per colpire la pallina) che “attiva” l’area motoria supplementare, evidenziata in giallo/rosso nelle
immagini, e uno immaginativo-spaziale (immaginare di camminare tra una stanza e
l’altra della propria casa) associato al giro paraippocampale, in blu nelle
immagini.
Una volta localizzate le aree, è stato chiesto loro di rispondere
a semplici domande, modulando la loro attività cerebrale durante le scansioni
in risonanza magnetica. Ad esempio: “Hai fratelli?”, rispondendo di sì, immaginando
di giocare a tennis, e di no, immaginando di girare per casa.
RISULTATI
Dei 54 pazienti
reclutati nello studio, 5 sono risultati essere capaci di modulare
volontariamente la loro attività cerebrale(tutti con patologia traumatica).In 3
di questi, test aggiuntivi hanno rilevato qualche segno di consapevolezza ma,
negli altri 2, niente di tutto ciò. Un solo paziente è stato capace di usare questa tecnica per rispondere a domande tipo “si-no”
durante la risonanza magnetica funzionale.
CONCLUSIONI
Una piccola percentuale di pazienti in
stato vegetativo o in stato di minima coscienza ha un’attivazione cerebrale che
riflette qualche tipo di cognizione e consapevolezza. Si spera che in futuro questo approccio possa essere utilizzato
per determinati quesiti clinici. Chiedere al paziente se sente dolore, e
scegliere quanto o quale analgesico somministrare. Chiedergli cosa pensa,
controllare il suo ambiente, comunicare le sue scelte a medici e familiari. In
una parola, conoscere la qualità della vita di questi pazienti, entrando in un
cervello murato vivo. Uno dei grandi misteri della medicina.
Roberto Infante
References: